Gli antialdosteronici sono in uso sin dal 1960 e agiscono bloccando il recettore dei mineralcorticoidi (MR), impedendo quindi all’aldosterone di funzionare. Essi sono in grado di inibire sia la classica azione dell’aldosterone sugli scambi sodio potassio e sulla volemia, sia gli effetti proinfiammatori dell’aldosterone che sono coinvolti in varie patologie cardiovascolari in particolare l’infarto miocardico, l’insufficienza cardiaca e l’ipertrofia ventricolare sinistra. Lo spironolattone, capostipite di tali farmaci presenta lo svantaggio di dare importanti disturbi antiandrogeni come ginecomastia, riduzione della libido e meno-metrorragie. In Italia abbiamo a disposizione il canrenone e il canrenoato di potassio che accanto ad un’equivalente attività antialdosteronica hanno un’attività antiandrogena molto scarsa. Di recente è entrato in commercio in molti paesi l’eplerenone, che pur avendo un’attività antialdosteronica notevolmente minore dello spironolattone, non ha attività antiandrogena né progestinica. Studi su ampie casistiche hanno dimostrato che l’aggiunta di antialdosteronici alle terapie convenzionali è in grado di prevenire le complicanze sia nel soggetto con insufficienza cardiaca che nel postinfarto. Di recente si è anche dimostrato che l’aggiunta di antialdosteronici può impedire l’accumula di cellule mononucleate a livello arterioso, meccanismo che inizia il proces so di aterosclerosi. È da notare che gli antialdosteronici sono attivi sul cuore e sui vasi anche in situazioni di normale concentrazione di aldosterone e pertanto il loro uso va rivalutato nella terapia dell’ipertensione essenziale e per prevenire complicanze cardiovascolari in soggetti predisposti. Effetto collaterale da considerare, oltre a quello antiandrogenico, è l’iperpotassiemia, frequente durante l’associazione con farmaci iperpotassiemizzanti e nell’insufficienza renale.